Negli ultimi 50 anni è rimbombata una preoccupazione generale fondata su una esigenza impellente: soddisfare la domanda globale di consumo di una popolazione in continua crescita.
L’aumento demografico imponeva l’esigenza di risolvere il problema del soddisfacimento di una popolazione che aumentava ad una velocità continua. In un’ottica di risoluzione del problema abbiamo optato verso un modello di sviluppo “intensivo”.
Abbiamo iniziato a parlare di agricoltura intensiva, in tal senso anche l’agricoltura doveva adattarsi al cambiamento globale, pertanto abbiamo aderito ad un modello di agricoltura integrata che fosse efficiente, veloce e soprattutto bypassasse i normali ritmi dei cicli naturali.
La cosiddetta Rivoluzione Verde ha avuto effetti positivi, ma non sul lungo periodo, i risultati disastrosi di questo modello sono sotto gli occhi di tutti.
L’aumento della produttività che ha caratterizzato gli ultimi 50 anni è avvenuto soprattutto attraverso un maggiore utilizzo di risorse non rinnovabili, che spesso si è tradotto in costi ambientali crescenti legati ad un uso eccessivo dei cosiddetti input: la superficie agricola irrigata o meccanizzata è raddoppiata, l’uso dei fertilizzanti si è quadruplicato, la produzione animale si è accresciuta notevolmente con punte del 400% per il pollame e del 200% per i suini.
Si parla di una perdita del 65 % della superficie arabile del pianeta, l’intensificazione che è avvenuta prevalentemente nell’agricoltura convenzionale o industriale è stata accompagnata da un uso non efficiente delle risorse naturali, con crescenti danni all’ecosistema in termini di inquinamento chimico, compattazione dei suoli e perdita di fertilità, distruzione della biodiversità.
Da un lato anche se a livello globale la produttività dell’agricoltura negli ultimi 20 anni è cresciuta di pari passo con la popolazione, dall’altro lato la produttività della terra ma anche del lavoro non solo mostra valori diversi nelle varie parti del mondo, ma la cosa più preoccupante è che il divario e le disparità tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo sono aumentate e col trascorrere del tempo si fanno sempre più marcate.
Vandana Shiva:
“il corpo scheletrico dei bambini africani e quello sovrappeso dei bambini americani sono il prodotto dello stesso sistema agroalimentare, entrambi possono essere evitati”
Oggi i limiti del sistema agricolo intensivo sono sotto gli occhi di tutti, dalla nostra piccola dimensione ci poniamo alcuni punti di domanda, partendo da una premessa fondata su un dato di fatto: oggi tutti gli attori presenti in un sistema sociale cosi complesso come è quello nostro, non possono considerarsi esenti dalla chiamata alla responsabilità ambientale!
Ci chiediamo se il famoso principio di responsabilità intergenerazionale in materia ambientale sia stato rispettato, ci chiediamo se da un lato i produttori debbano imprimere un orientamento con le loro scelte di produzione, magari optando per un metodo di coltivazione biologico, anzicchè subire le logiche della globalizzazione che li induce a trasformare i loro campi in enormi distese uniformi per adeguarsi al mercato globale, un esempio di tutto ciò è la produzione di cereali,in particolare il mais.
Ci chiediamo se anche i consumatori finali con le loro scelte di consumo non debbano essere chiamati alla responsabilità ambientale, magari acquisendo una giusta consapevolezza ed educazione alimentare, optando per scelte di consumo giuste e genuine, anzicchè subire le logiche consumistiche di un mercato che devia con spot pubblicitari l’esigenze reali di noi consumatori.
Ci chiediamo infine se le logiche di politica nazionale ma anche sovranazionale in materia agraria debbano essere riviste, se non si debbano orientare gli sforzi verso il sostentamento ad un tipo di agricoltura familiare, incoraggiare la produzione biologica, magari cambiando prospettiva e idee e partire da un dato concreto: che anche l’agricoltura cosiddetta familiare può rendersi protagonista del soddisfacimento della domanda di una popolazione in continua crescita.
Oggi sulla terra ci sono 6,4 miliardi di persone, secondo l’Onu raggiungeremo i 9 miliardi entro il 2015.
Lo sviluppo dell’agricoltura, pensando ad un futuro in cui saremo 9 miliardi, dovrà necessariamente essere sostenibile, integrato con le risorse locali e a basso impatto ambientale, sfruttando esclusivamente prodotti e input che possono essere riutilizzati.
Bisognerà contribuire al benessere intergenerazionale, cioè mantenere l’attuale livello di benessere per le generazioni future nella consapevolezza che esso dipenda dalla risorsa in quantità e qualità, che una data generazione riesca a trasmettere alle successive.
La vera sfida è soddisfare i bisogni di una popolazione in continuo aumento, senza compromettere l’ambiente, dunque il problema non sarà la crescita della domanda ma anche il tipo di prodotti consumati.
Parlare di agricoltura sostenibile vuol dire fare riferimento ad un sistema di obiettivi piuttosto che ad un insieme di tecniche produttive, l’agricoltura può essere considerata sostenibile se risponde all’obiettivo di fare il miglior uso possibile dei beni e dei servizi ambientali, senza danneggiare tali risorse , producendo cibo e altri beni, ivi compresi beni pubblici , come ad esempio acque pulite, tutela del paesaggio, prevenzione del dissesto idrogeologico, garantire la biodiversità.
Dobbiamo riscoprire nuove parole: stagionalità , sicurezza alimentare, educazione e consapevolezza alimentare, ma soprattutto l’uomo dovrà imparare a comportarsi da ospite e custode del pianeta.
“in futuro i concimi chimici saranno considerati una delle più grandi follie dell’epoca industriale” Sir Albert Howard, IDiritti della Terra